La Francia e il Coronavirus: pragmatismo gallico o cinico opportunismo?

Stasera, giovedì 12 marzo 2020, nuove misure drastiche sono state annunciate dal président de la République. Tutte le scuole francesi saranno chiuse a partire da lunedì 16 marzo e fino a nuovo ordine. La Francia segue lo ‘scenario italiano’.

Cosa penso fra le righe e prima di sottoporvi ad una lunga lettura.

Egoisticamente sono sollevata all’idea di aver ritrovato una certa fiamma narrativa che mi si riaccende puntualmente con i picchi d’adrenalina. In quanto mamma residente a Parigi sono preoccupata e non solo per il virus. Come professionista impegnata nella scrittura da più di un decennio sono angustiata dai teatrini di facebook. Dalle necessità di allarme, dalle critiche sterili e dal continuo bisogno di contrapposizione.

La cosa che mi fa più paura è l’ignoranza, il bisogno di commentare a tutti i costi, la necessità di costruirsi una credibilità effimera.

Per il resto son qui a casa in attesa, con una bella pancia e tante cose che girano per la testa.

Organizziamo il domani con lucidità.

Il modello francese

La Francia non è un paese dominato dal pathos, ma la patria del protocollo.

Si tratta di un assunto improrogabile per tentare di comprendere la gestione dell’emergenza sanitaria legata al Covid-19. In Francia le grandi crisi sono all’ordine del giorno e la maniera di affrontarle diverge diametralmente da quella adottata in Italia. Si tratta a mio modesto parere di due modelli opposti, che affondano le proprie radici in società sviluppatesi diversamente, nonostante la loro vicinanza geografica.

Estrapolando una tendenza generale (non scevra da semplificazioni) si potrebbe concludere che la Francia è statistica, la Francia è collettiva e tale è la gestione che la domina, ad ogni livello organizzativo. Sollevare la responsabilità del singolo, inglobandola in un più ampio movimento e in una serie di procedure elaborate e testate in anticipo, consente una certa capacità predittiva capace di rassicurare le masse e di guidare l’individuo, soprattutto in tempi di incertezza.

La governance fattuale

Non c’è da stupirsi che le ultime settimane siano state vissute e percepite in maniera completamente diversa oltre frontiera. Il governo francese e i francesi stessi sono stati accusati di essere superficiali, opportunisti, incoscienti, egoisti. Un insieme di critiche che non sono estranee a certi topos del consueto french bashing. Eppure difficile immaginare un approccio diverso in terra francese, a maggior ragion in tempi di campagna elettorale (il primo turno delle elezioni municipali è previsto per il 15 marzo, il secondo per il 22). A ben guardare non si tratta che dell’ennesimo esempio di governance fattuale o di pragmatismo gallico, che dir si voglia.

Quella che si attua in Francia è una visione sistemica che ci è estranea? Possibile.

Che ci appaia cinica e disumana? Altamente probabile.

Stimare per ottimizzare

Non è un caso se il metodo del triage médical sia particolarmente diffuso in Francia.

La valutazione del rischio mira a ottimizzare le risorse disponibili per non non mettere in ginocchio i pronti soccorsi degli ospedali. Sequestrare tutta la produzione di mascherine per gestirne la distribuzione ai soli professionisti della salute (o a persone che abbiano un’esigenza comprovata su presentazione di ricetta medica) è il risultato di un atteggiamento pragmatico. Contenere per decreto i costi del gel disinfettante e autorizzare le singole farmacie a produrlo e a commercializzarlo, uno strumento di prevenzione delle speculazioni.

Più difficile la scelta di limitare il numero di tamponi alle sole persone presentanti gravi sintomi, fermo restando il ruolo strategico occupato da tali persone e il principio di continuità statale (dopo aver constatato la positività al virus del ministro della cultura francese Franck Riester, tutti i ministri a rischio e lo stesso presidente sono stati testati, pur non presentando necessariamente sintomi).

Il tentativo di contenere l’indice della paura

Non si può ovviamente affermare che la cosa sia pacifica, che non ci siano state voci dissidenti, ma domina un certo fatalismo che è frutto di un lungo processo di apprentissage.

Il mantenimento delle attività produttive aiuta a prevenire penurie e problemi logistici, in un paese che conta ancora numerosi territori esterni alla Francia metropolitana, tale atteggiamento è più che comprensibile. Tenere le scuole aperte finché possibile minimizza le differenze sociali e permette agli operatori sanitari, ai pompieri a agli specialisti del primo soccorso di assicurare la propria missione di servizio.

I primi casi attestati di coronavirus in Francia (e in Europa) risalgono alla fine del mese di gennaio, e da allora numerosi provvedimenti restrittivi, adattati caso per caso, sono stati presi. L’isolamento dei pazienti provenienti da zone a rischio, l’individuazione di cluster e la limitazione degli spostamenti in tali zone, il continuo battage per incentivare la diffusione dei gesti-barriera sono all’ordine del giorno e il telelavoro è già stato messo in atto in numerose aziende. I residenti delle case di riposo sono isolati e le visite esterne, sospese.

Nonostante ciò le risposte francesi non sono state sufficienti a contenere l’indice della paura e il fattore tempo rischia di giocare contro la strategia di Macron. Senza dimenticare che la sospensione degli accordi di Schengen e l’installazione delle frontiere interne all’Europa, per quanto ormai necessaria, potrebbe danneggiare pesantemente l’economia.

Preoccupazione numero 1: evitare il panico!

La Francia non è stata a guardare. Ha osservato in silenzio, si è preparata prendendo esempio dai grandi focolai esteri (la Cina in primis, poi l’Iran e l’Italia stessa) e ha reagito a suo modo pendendo atto dell’ennesima crisi, che ha seguito quella dei gilets jaunes e si è quasi intersecata con uno degli scioperi nazionali più importanti dell’ultimo quarto di secolo.

E allora cosa ci si sarebbe dovuti aspettare da una struttura governativa così sollecitata?

Di certo non una reazione emozionale, tanto aliena al modo di pensare francese, quanto potenzialmente incomprensibile ai più. Che le critiche estere sarebbero arrivate presto era fuori di dubbio, ma non si può ignorare che l’eterogeneità della compagine nazionale francese è coerente con tale modo di affrontare le cose.

L’approccio pragmatico e le tematiche generazionali

Mio padre ricorda i tempi del colera a Napoli negli anni ‘70. Io quelli che hanno seguito gli attentati terroristici che hanno insanguinato la Francia dal 2012 al 2019.

Mi sono scontrata più volte e in prima persona con un modo di concepire l’esistenza completamente estraneo a quello italiano e dopo grandi crisi di nervosismo sono arrivata ad una conclusione più istruttiva. Immergersi in ogni sorta di procedura e avere a che fare quotidianamente con la temutissima macchina burocratica francese aiuta a comprendere, almeno in parte e per quanto possibile, tali atteggiamenti. Reazioni che sono il frutto di una certa mancanza di elasticità e dello spirito di previsione collettivo messo in atto proprio per sopperire alla mancanza di slancio del singolo.

L’Italia è un paese di eroi, capace di mobilitare il meglio delle sue risorse per far fronte all’emergenza. L’Italia è una terra di frontiera, una nazione sopravvissuta a mille crisi di ordine geopolitico che ha affrontato innumerevoli catastrofi naturali. L’italia è un paese di memoria e d’esperienza, che può contare sulle generazioni precedenti e appoggiarsi su un grande bagaglio per la gestione dell’estremo (che si rivela utile in situazioni come quella odierna).

La Francia è paradossalmente (e non per ragioni storiche in questo caso) un paese molto più giovane. In cui la classe dirigenziale è dominata da trentenni e quarantenni che non posseggono le stesse solide basi e che sono rigidamente inquadrati proprio per prevenire i derapage.

Cosa succederà in Italia una volta passata anche questa bufera?

Le famiglie italiane, già provate da decenni di sacrifici, si troveranno a dover raccogliere i cocci di una nuova recessione. Le giovani coppie porteranno sulle spalle il peso di una difficoltà crescente, in un contesto non certo favorevole. Ma l’Italia ce la farà, come ce l’ha sempre fatta. Con creatività, affezione, determinazione e spirito d’iniziativa. Insomma quel quid in più che garantisce agli italiani una grande riserva di risorse.

Le folgori degli italiani a Parigi

Inutile sottolineare che la frequentazione di certi gruppi facebook di italiani all’estero, oltre a risultare deleteria per la salute mentale, si rivela un’ottima cartina al tornasole delle inquietudini striscianti dei nostri connazionali, gli stessi che non hanno esitato a gridare ‘Je suis Charlie’ dopo gli attentati del gennaio 2015.

Persone naturalmente preoccupate dalle costanti notizie provenienti dai media e (più spesso) dai social italiani.

Numerosi i post che tacciano di immobilismo incosciente il governo francese.

Innumerevoli le teorie complottistiche riportate.

Lunghissimi i flame alimentati (solo in misura inferiore) dai troll, per la maggior parte da chi nutre sincera inquietudine e anche da polemici malati di protagonismo. Molto spesso chi scrive semplicemente non ha ancora preso atto del contesto sociale francese e integrato la differenza.

In ogni caso la scuola italiana di Parigi è stata chiusa per decisione consolare, numerosi sono gli appelli dei professionisti italiani operanti nel settore della ricerca, ai quali si è aggiunta la voce allarmante dei corrispondenti delle testate francesi residenti in Italia.

Attraversata da immani fratture sociali, la Francia non è certo un paese sereno. Tende ad isolarsi e a perseguire in un modo di percepire e gestire le cose che dall’esterno può essere considerato come alieno e presuntuoso. Eppure si tratta di un fare estremamente intrinseco.

Chiudere citando Brecht ‘felice il paese che non ha bisogno di eroi’ sarebbe troppo scontato, eppure riflette una certa angoscia da italiana all’estero che non riesco a reprimere.

Che sia un retaggio italico…



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Grecia magico Mediterraneo: kitesurf a Mykonos e paradisi marittimi a Koufunissi

Kitesurf a Mykonos, il rito del tramonto

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Gli aquiloni dei kiters sono bellissimi da vedere, sul tramonto più famoso dell’Egeo. Quello di Mykonos. Abbiamo fatto quattro chiacchiere con uno di loro. Ecco cosa ci ha raccontato.

Quattro chiacchiere con Alberto, esperto kiter

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Per molto tempo Mykonos non era considerata meta dagli appassionati di kitesurf, che erano pochi e coraggiosi. Oggi le cose sono cambiate. E molto. Ne parliamo con Alberto (bloccato sul suo quad) kiter esperto, solitario e di poche parole.

Ciao Alberto, è da tanto che fai kitesurf?

Circa 8 anni

Com’è Mykonos?

Bella, ma come spot è abbastanza difficile.

Perché?

Per che il vento viene da una direzione che i kiter chiamano ‘on shore’ quindi perpendicolare alla spiaggia.
Sono delle condizioni per persone esperte.

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Ci vai spesso?

Ultimamente una volta l’anno.

Fino a qualche anno fa il parere nell’ambiente era negativo. Ora esiste perfino il sito ufficiale. Cosa è cambiato?

Hanno creato delle strutture apposite, ma soprattutto la gente non è più spaventata dai kiters.

Quali sono i posti migliori per il kite a Mykonos?

Ftelia con vento forte da nord e Korkos con vento dai quadranti settentrionali

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La prima spiaggia si trova sulla strada che dal vecchio porto va verso la città di Ano Mera. L’altro spot, Korfos, sta nelle vicinanze dell’aereoporto e a Sud-Ovest dell’isola.

E in Grecia?

Paros e Naxos

E nel mondo?

Brasile (nord est) Egitto, Mar Rosso

Quanto è importante la cornice naturale per questo sport?

Bè, meglio fare kite in un bel mare che in un brutto mare (direbbe Catalano).

Quanto quella “sociale”?

Molto

E a Mykonos c’è tutto. Qui dai mulini sulla piccola Venezia il panorama è mozzafiato. E i kiters fanno ormai parte del rito.

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Il magnifico mare di Koufunissi

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Un mare caraibico sulle spiagge selvagge di una delle isole meno battute delle Cicladi: Koufunissi. Venite a scoprirla con noi.

Non basta una vita per scoprire tutte le incredibili isole dell’arcipelago greco e soprattutto per conoscere il mare più bello. Se siete alla caccia di acque cristalline però dovete assolutamente passare per Koufunissi.

Koufonissia sono due isole delle Piccole Cicladi a sud est di Naxos e ad Ovest di Amorgos. Kato koufonisi, praticamente disabitata e Ano Koufonisi.

Pericolo invasione turistica

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Fino a 20 anni fa era praticamente incontaminate. Ora sulla costa sud occidentale di Ano Koufonissi, nella piccola baia riparata dal Meltemi, attraccano i traghetti provenienti dal Pireo e da Naxos. Ma anche gli aliscafi da Santorini e Mykonos. Facilmente raggiungibili quindi anche con i i diretti stagionali.

Per molti puristi questa recente invasione turistica è tremendamente pericolosa. Ma possiamo assicurare che gli abitanti resistono bene alla tentazione della costruzione e soprattutto il mare rimane meraviglioso.

Tra luoghi frequentati e piscine naturali

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A oriente della deliziosa e piccola Chora c’è una strada asfaltata che si arresta dopo pochi chilometri. Lungo il suo percorso si trovano le spiagge più frequentate, ultima delle quali Foinikas.

È possibile proseguire a piedi o meglio ancora in barca alla ricerca di ulteriori calette, quali Fanos e Italida, detta anche “platià Pounta”. Qui abbiamo già svelato il segreto delle sue famose “piscine naturali”.

Il paradiso di Poros

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Se avete voglia però di scoprire un fascino davvero esotico e paradisiaco proseguite oltre, verso nord e puntate a Poros, un arenile meno frequentato per via dei venti, una mezza luna di trasparenza e solitudine. Una vera oasi tropicale.

Il cammino non è così faticoso, e se preferite la comodità, potete prendere un battello che parte ogni ora dalle spiagge più vicine al porto o anche un comodissimo bus. Ci sono anche due ristoranti (uno tradizionale e uno più turistico, dove però potrete mangiare il pesce, solita assurda rarità da queste parti…)

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Testo e foto © By RondoneR

Già su Travelblog.it kitesurf a Mykonos e mare a Koufunissi

Dalla Russia con Amore: il Peterhof di San Pietroburgo e la metropolitana di Mosca

Peterhof, la gemma di Pietro il Grande per il G20

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Vi siete chiesti dove fossero riuniti i “grandi” del mondo per questo G20 russo?
Nella splendida cornice di Peterhof, la reggia estiva dello zar Pietro il Grande, il fondatore di San Pietroburgo.

Peterhof sorge sulle rive del Golfo di Finlandia, a circa 20 chilometri ad ovest da San Pietroburgo, comprende diversi e numerosi palazzi, si estende su di una superficie di 607 ettari ed è inserita nell’elenco dei Patrimoni dell’umanità stilato dall’Unesco oltre ad essere una delle Sette meraviglie della Russia.

Se avete avuto la fortuna di visitare San Pietroburgo non vi sarà sfuggita l’eclettica eredità spirituale dello zar più visionario della storia russa. La scelta dell’umile e spartana abitazione (”la casetta”) mentre veniva edificata una città tanto fastosa ed elegante è un tratto famoso di Pietro il Grande.

Da far girar la testaRussia_RondoneR2

A Peterhof vi potrete subito ricredere. In dieci anni (tempi record per l’epoca) tra il 1714 e il 1724 le meraviglie architettoniche che poco avevano da invidiare a Versailles erano già pronte. Uno dei complessi di palazzi e fontane più sfarzosi d’Europa fu l’ennesima sfida di Pietro alla natura ostile del grande Nord.

A dirla tutta è persino troppo “carico”. I tre livelli del parco, il Gran Palazzo, le fontane (soprattutto la Grande Cascata) fanno quasi venire un giramento di testa. Oro e acqua, immersi nel verde, in uno scintillio costante.

In cerca di pace nelle casine di cacciaRussia_RondoneR3

Se cercate la pace e l’estasi (che probabilmente inseguiva anche Pietro), vi conviene perdervi per i giardini laterali. Da una parte e dall’altra andando alla scoperta di fontane e piscine, boschetti e casine di caccia.

Come il Marly o Marly-le-Rois, il capanno di caccia del re di Francia, che ispirò Pietro durante le sue visite in Europa nel 1717. O il Montplaisir, progettato nel 1714 da Johann Braunstien, dove lo zar amava ricevere gli ospiti, molto meno sfarzoso del Gran Palazzo, che si affaccia direttamente sul Golfo di Finlandia.

Fra le siepi e le fontane, vi capiterà d’imbattervi, superando nugoli di turisti, in scoiattoli e spose, che vengono qui per immortalare il giorno delle nozze.

Occorre una giornata intera, ed una certa prestanza fisica, per ammirare tutte le fontane dei giardini. Ognuna con la sua storia, ognuna col suo significato. Adamo ed Eva, Nettuno, la fontane romane, quella piramidale, quella del sole.

A differenza di San Pietroburgo, durante la Seconda guerra mondiale Peterhof fu occupato dai soldati nazisti dal 1941 al 1944. Prima dell’occupazione si riuscì a sgombrare più di 8000 oggetti dell’arredamento dei palazzi e circa 50 statue, che vennero salvate mentre il complesso fu poi quasi completamente distrutto da bombardamenti degli stessi sovietici. Dopo la guerra incominciò la ricostruzione di Peterhof, che prosegue tuttora.

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Non abbiate paura della metropolitana di Mosca
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Recentemente tornata alla ribalta per un grave fatto di cronaca, è probabilmente il capolavoro urbano più impressionante della capitale russa. Un’opera d’arte funzionale che trasporta 9 milioni di passeggeri al giorno. Siamo scesi a visitarla per voi.

Mosca è una città da scoprire. Molti turisti la visitano rapidamente, per poi sentenziare soddisfatti che oltre alla piazza Rossa e al Cremlino, c’è poco o niente. Una sintesi molto superficiale. Perché oltre alle tante cose che ci sono da vedere in superficie, c’è soprattutto da scendere sotto, di qualche decina e decina (!) di metri, per incontrare uno dei suoi tesori più grandi: la metropolitana.

In questi giorni è tornata sulle prima pagine dei giornali per un episodio di violenza, una sparatoria con tanto di video, ma per essere onesti noi che l’abbiamo visitata in autunno, non abbiamo incontrato alcun problema.

Una fitta rete di salotti sotterranei dove il tempo sembra essersi fermato
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Magari non è consigliabile per chi soffre di claustrofobia, piazzarsi sulle affollate scale mobili che scendono di tanti metri sotto il livello della città, ma bisogna anche ammettere che costoro si perderanno stazioni spettacolari, veri e propri salotti sotterranei.

La metropolitana di Mosca comprende 298,2 km di binari, 12 linee e 182 stazioni. Trasporta circa 9 milioni di passeggeri al giorno. Seconda solo a quella di Tokyo.

Il giro che di norma si consiglia è quello che parte dalla Komsomolskaya, per proseguire in senso antiorario percorrendo tutta la Linea dell’Anello, e scendendo ad ogni stazione per visitarle con cura.

L’aspetto che più colpisce della portentosa opera architettonica che si snoda sotto la città più trafficata del mondo, è lo spirito comunista e sovietico che ancora si respira qui sotto, rispetto ai grandi scenari ormai turistici (e in effetti zaristi) come il Cremlino.

Il progetto grandioso che muove la città nel sottosuoloRussia_RondoneR11

Magari vi colpiranno anche le contraddizioni estetiche, di questo straordinario progetto, che incarna tutta la grandezza del mito staliniano, dell’arte socialista, a metà tra opulenza simbolica e potenza a servizio del popolo.

Migliaia di persone lavorarono alla Metrostroy, giorno e notte, in condizioni spaventose. La prima linea venne aperta il 15 maggio 1935. Dalla stazione Sokol’niki alla stazione Park kultury con una diramazione per la Smolenskaja. Questa diramazione divenne la linea Arbatskaja, che nel 1937 giungeva fino alla stazione Kievskaja attraversando la Moscova su un ponte.

Nel 1938 la linea Arbatskaja fu prolungata, poi fu aperta la linea Gor’skogo-Zamoskvoreckaja. Quindi una terza espansione fu portata a termine durante la seconda guerra mondiale.

Infine dopo la guerra iniziò una quarta fase: la linea Kol’cevaja e la parte sotterranea della Arbatskaja, da Ploščad’ Revoljucii (piazza della Rivoluzione) a Kievskaja. La costruzione fu completata nel 1954.

Sicurezza e problemi…Russia_RondoneR12

Negli anni della guerra fredda furono aumentate le parti profonde della linea Arbatskaja. Le stazioni dovevano anche fungere da rifugi in caso di attacco atomico.

In realtà, l’espansione della gigantesca metropolitana, non è mai finita. Ancora oggi prosegue. Paradossalmente, da luogo di sicurezza del popolo e per il popolo, la metropolitana è diventato un obiettivo di attentati, come quello del 29 marzo 2010. Oltre ad essere appunto ritrovo per incontri non sempre tranquilli, ma questo accade in tutte le grandi città del mondo.

…di un luogo dal fascino indiscutibile
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Il fascino però è indiscutibile. In nessun altro posto al mondo rimarrete tanto a vagare sottoterra per andare a caccia di stazioni uniche, ognuna con la propria storia e i propri dettagli.

C’è qualcosa di incredibilmente romantico, in questi vecchi treni che sfrecciano rumorosi fra annunci con voce maschile (per quelli diretti verso il centro cittadino) e con voce femminile (quelli che si allontanano verso le periferie).

Soffitti, luci, mosaici e busti, icone e simboli. Un tuffo in un passato drammatico che ha illuso generazioni, che resta incredibilmente immutato qui sotto, e per qualcuno diventa faticoso tornare in superficie.

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Vedi anche Quali documenti servono per viaggiare a Mosca e in Russia, una passeggiata lungo la via Arabat vecchia a Mosca e Mosca con Chatwin: quattro passi tra la nostalgia del regime e la mania di grandezza.

Testo e foto © By RondoneR

Già su travelblog.it il Peterhof a San Pietroburgo e la Metropolitana di Mosca

Repubblica Ceca: le magie di Praga, Ostrava e Olomuc

Un’indimenticabile prima volta
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Ecco il primo assaggio dell’incantevole Blog Tour in Repubblica Ceca. L’arrivo a Praga e le prime passeggiate. Un viaggio indimenticabile.
Devo ammettere che quasi mi vergognavo. Non ero ancora stato Praga. Assurdo. Così quando il Czech Tourism mi ha offerto la possibilità di partecipare al #CzechBlogTour non stavo più nella pelle.

La prima tappa non poteva essere quindi che Praga, una delle città più belle e famose del mondo, che già abbiamo incontrato spesso qui. Dedicheremo al Castello e al Ponte Carlo post speciali, per cui abbandoniamoci per ora alla suggestione dell’arrivo nella capitale ceca.

Una guida giovane e simpatica ha accompagnato il nostro piccolo e buffo gruppo (6 travelblogger da ogni parte del mondo: Spagna, Francia, Olanda, Russia, Brasile e Italia) per un non-standard tour della città. Avete mai visto la statua curiosa del Principe Venceslao nel Passaggio Lucerna?

Camminare per il centro Praga stordisce, per la bellezza e la ricchezza del patrimonio architettonico, artistico e culturale in cui vieni avvolto. Non a caso i nostri amici di @CzechTourism parlano di #LandofStories. In ogni angolo c’è un pezzo di Storia, in ogni scorcio un magnifico quadro.

Difficili ricordi
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La Velvet Revolution (la Rivoluzione di Velluto) del 1989 che ha liberato i ciechi del regime comunista, ha restituito ai visitatori di tutto il mondo una città meravigliosamente conservata, che nemmeno la folla del turismo attuale riesce a scalfire.

Ci sono ricordi più faticosi da custodire, ma che proprio per questo colpiscono profondamente. Come l’enorme metronomo che oscilla sulla collina di Letná, edificato nel 1991. Che simboleggia il passare del tempo a Praga, proprio lì dove nel 1955 fu costruita una delle statue più grandi d’Europa che rappresentava Stalin davanti al “suo” popolo.

La grande statua fu distrutta nel ‘62, ma passò ancora tanto “tempo” compresa la tragica Primavera di Praga, prima che sbocciasse quel velluto rivoluzionario. Curioso come, oggi sia proprio difronte alla via più elegante e ricca della città.

Ma anche spingendosi più indietro nella Storia, non mancano i simboli del coraggioso e indipendente spirito ceco. Proprio come nella strepitosa piazza della Città Vecchia domina la statua di Jan Hus, teologo boemo, scomunicato nel 1411 dalla Chiesa cattolica e bruciato sul rogo.

Un vertiginoso valzer di incastri fatti per perdersi
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E mentre tutti si affollano sotto l’orologio astronomico per scoprire i segreti dei quattro personaggi che fanno il proprio piccolo spettacolo rinomato in tutto il mondo, noi ci perdiamo volentieri di nuovo tra i vicoli, i cortili e qualche piccolo canale della Moldava. Per puntare ad una cena tipica in posto tradizionale come il Malyglen, annegando in fiumi di birra nazionale.

C’è qualcosa di magico e suadente in questo vertiginoso valzer d’incastri. Praga è fatta per perdersi. Quindi ritrovarsi d’un tratto davanti a qualcosa di conosciuto da sempre. Venire qui fa scoprire qualcosa dei misteri del grande Franz Kafka, la cui statua lascia comunque un po’ perplessi. Deve essere così…

Ma anche la Praga più nuova, quella che non ti aspetti, combina questi elementi di sottile turbamento. Si potrebbe esprimere qualcosa di diverso davanti all’ormai celebre Dancing House (Tančící dům)?

Così come non basta scoprire o riconoscere lo spontaneo John Lennon Wall, o l’inquietante uomo appeso, “l’intellettuale della fine del millennio”, in via Husova (sono tanti i posti strani a Praga).

La Notte

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Quando cala la notte, poi, l’atmosfera prenda una piega perfino più maestosa. Segretamente misteriosa. E la città si ammanta di magia. Con un velo di giallo. Incredibilmente affascinante. Sarà che dormivamo nel vetusto Hotel Europa, quello di Mission Impossible per capirci. Buona insonnia, allora.

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Da Praga ad Ostrava: un passaggio brusco dal fascino antico al sapore forte dell’industrializzazione
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Ostrava, capoluogo della regione di Moravia-Slesia, famosa per le miniere di carbone nero, che ora rivivono trasformate. La terza città per grandezza della Repubblica Ceca dopo (Praga e Brno) è l’ex cuore d’acciaio della Repubblica durante il comunismo in Cecoslovacchia. Molte delle industrie pesanti oggigiorno sono state chiuse o trasformate in luoghi nuovi che conservano però le strutture imponenti di quei tempi.

Si potrebbe pensare ad una città oscura. Grigia. Deserta. L’estrazione e la lavorazione del carbone nero di alta qualità, lascia il segno, non ci sono dubbi. Eppure Ostrava è viva e creativa. Accesa di giovinezza e voglia di rinascere. Con tanta fantasia.

Michal e Vítkovice
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La miniera Michal mischia il lavoro quotidiano dei minatori (dagli spogliatoi fino agli edifici minerari) con un tocco di curiosa vena artistica.

Dall’attrezzatura autentica, ai bagni, alla lampisteria, la sala registrazioni fino alle enormi macchine a vapore e le caldaie. Fa impressione rivivere quel clima, che nasconde anche un velo di nostalgia per un passato di grande importanza strategica.

La potenza industriale tramonta su questi grandi dinosauri meccanici, lucidi e ancora funzionanti. Per produrre soprattutto ricordi, testimonianze. Memoria.

Queste atmosfere di decadenza romantica, si respirano anche nell’altro grande sito che abbiamo visitato: Vítkovice che si trova proprio al centrodi Ostrava. Un vero e proprio castello d’acciaio.

Un’ambientazione che sembra un set di un film di fantascienza. Un labirinto di torri d’acciaio, tubazioni e tubi dalle forme più strane. Ruggine e rinnovamento. Un paradosso di grande effetto.

La parte inferiore di Vítkovice è un monumento culturale nazionale, parte del patrimonio culturale europeo, candidato per l’Unesco. Comprende l’ampia area industriale delle acciaierie di Vítkovice. Queste sono formate da tre blocchi, chiamate appunto anche “il Castello di Ostrava”.

Il complesso di Hlublina
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Nella parte settentrionale si trova la miniera di Hlubina, collegata all’intero complesso, perché era la fonte del carbone necessario per gli altiforni. Gli altiforni, la cokeria e l’industria chimica sono collegati da nastri trasportatori, da impianti e ponti di trasporto. La parte centrale ospita la produzione meccanica, ancora in grado di funzionare; nella parte meridionale vale la pena di visitare il gruppo degli edifici industriali ed amministrativi.

All’interno di questo complesso, in modo giocoso, vengono esposti percorsi informativi, che non riguardano solo la produzione del ferro della zona. C’è il museo industriale ed il Mondo della tecnica, un originale luogo di divertimento ed istruzione.

Infine con un ascensore su un montacarichi a ponte, si viene trasportati fino all’ingresso dell’altoforno. Mentre nel centro direttivo vi era una grande sala teatro per eventi.

Pensate che in questo bizzarro scenario, tra l’apocalittico, l’industriale, ludico e il pedagogico, alcuni scelgono perfino di celebrarvi le nozze. Il #CzechBlogTour non finisce certo qui.

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Olomouc: on the road Repubblica Ceca.

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La Repubblica Ceca custodisce autentici tesori con stupefacente grazia. Dopo Ostrava, attraverso la Moravia, il nostro #Czechblogtour ci fa scoprire Olomouc, un gioiello maestoso e romantico. Una vera e propria scoperta. Cittadina meravigliosa, ricchissima di cosa da vedere.

Olomouc sorprende subito per la sua nobile eleganza. Ha origini antiche, con un forte romano fondato di età imperiale, il cui nome era Mons Julii. Confermato da recenti scavi archeologici. Leggenda e verità si mischiano fra le sue fontane barocche (ben 6!) che emulano le nostre di Roma.

Crocevia di lingue e culture

Ampie piazze e fontane (che non furono mai rimosse) perché ritenute una valida riserva d’acqua in caso di incendio. Una di esse, la più imponente, rappresenta addirittura Giulio Cesare, mitico fondatore della città. Le altre cinque sono appunto divinità romane come Giove, Mercurio, Poseidone ed il “piccolo” Tritone. Evidentemente non proprio conosciuto da queste parti…

Ma la latina Olomouc (Iuliomontium) è anche tedesca (Olmütz) soprattutto austriaca (con i suoi ring viennesi), quindi ungherese (Alamóc), slovacca (Olomúc) e ovviamente ceca. Una città universitaria. Giovane, brillante, colta. Verdissima.

È bagnata dal fiume Morava, che si può risalire agevolmente con affascinanti crociere di rafting gentile. Immersi nella pace e nella poesia di margini deliziosi. Guardate il nostro video. E godetevi lo spettacolo.

Fiore all’occhiello della città, è la splendida piazza principale, che non ha nulla da invidiare a quelle di Praga, circondata da storici edifici e impreziosita dalla sbalorditiva Colonna della Trinità, dichiarata dall’UNESCO, Patrimonio dell’Umanità. Alta circa 35 metri e costruita tra il 1716 ed il 1754.

Vista dall’alto
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Per godere di una vista totale, sulla meravigliosa cittadina, ci si può arrampicare su una delle torri (la più famosa è quella del municipio, col suo notevole orologio astronomico) ma forse l’orizzonte è più completo da quella della chiesa parrocchiale San Maurizio appena fuori dalla piazza.

In cima la vista è mozzafiato. L’occhio si perde sulla città che si estende da ogni lato con armoniosa sovrapposizione di profili e tetti, creando quadri d’autore da ricordare.

La cattedrale di San Venceslao
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A dominare però la città, c’è la cattedrale San Venceslao con la sua facciata a due campanili, parte inseparabile del panorama. Il campanile sud, il terzo, misura esattamente 102 m, è il campanile più alto di Morava (il secondo più alto nel Paese). La chiesa con tre navate viene dalla disposizione medievale originale.

La costruzione della cattedrale fu iniziata dal principe di Olomouc Svatopluk negli anni 1104–1107. Suo figlio Václav proseguì. L’edificio incompiuto fu consacrato nel 1131 e completato solo nel 1141. Dopo l’incendio nel 1265 la cattedrale fu completamente ricostruita in stile gotico.

Olomouc ha ospitato famosi personaggi, tra cui Freud, Nietzsche, Mahler (che ci abitò pure, lo si può osservare dalla targa accanto ad una bella finestra). Tutti si ritrovavano al Moravska restaurace, proprio come noi.

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Lost in Repubblica Ceca

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Il nostro viaggio prosegue attraverso le valli della Moravia e del distretto di Šumperk, nella regione di Olomouc. Fra castelli, formaggi e meravigliosi cervi.

Lost in Repubblica Ceca. Potrebbe essere un titolo per un viaggio davvero affascinante. E noi lo abbiamo vissuto. Sul serio. Così, dopo aver visitato Olomouc, ci siamo persi un po’ per le verdissime campagne della Moravia, indovinate per arrivare dove? A Loštice, appunto.

Olomoucke tvaruzky: il “Parmigiano Reggiano” locale

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Qui abbiamo degustato e quindi visitato il magazzino e il museo del formaggio Olomoucke tvaruzky, che è un po’ il Parmigiano Reggiano della Repubblica Ceca.

Ci tengono molto infatti all’originalità e alla provenienza di questo formaggio. L’autentico Tvarůžky ha un gusto ed un’aroma inconfondibili. Leggermente piccante, con una lunga stagionatura, si menziona già nel 15° secolo.

Questo formaggio, che un processo del tutto naturale, si guadagna l’inimitabile sapore grazie alle condizioni climatiche e geologiche della zona geografica di Hana. Un ruolo importante è giocato dalle piogge della zona e dall’acqua del sottosuolo.

Andar per castelli

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Saturi e leggermente “stagionati” anche noi, ci siamo rituffati nelle valli ceche, dove all’orizzonte capita spesso di notare maestosi castelli, come questo che vedete spuntare in foto qui.

Questo castello privato è stato adoperato per un film di produzione italiana. Vediamo se siete appassionati ed attenti cinefili. Di quale film si tratta?

A a Nove Hrady la “Versailles della Repubblica Ceca”
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Il nostro CzechBlogTour #LandofStories si è trasferito quindi a Nove Hrady, per visitare un altro château: Una grande villa in stile rococò, davvero notevole.

Costruita tra il 1774 e il 1777 dal Conte Jean-Antoin Harbuval de Chamaré nello stile francese delle residenze estive, viene qui spesso indicata come la “Piccola Schönbrunn” o la “Versailles della Repubblica Ceca”. La proprietà comprende un lussuoso viale d’ingresso ed un giardino alla francese con edifici amministrativi, un granaio, un museo della bicicletta, ed un parco inglese che porta ai resti del castello gotico originale. Al suo interno regali stanze ospitano celebrazioni, conferenze ed eventi. Ed è facile perdersi anche qui, tra camere, salotti, piccole cappelle e grandi sale.

Ma è sicuramente fuori, dove si può perdere l’orientamento più facilmente. Un labirinto di siepi piuttosto difficile da risolvere (Zámecký Labyrint) porta alla sorpresa finale. Una statua semisepolta di Stalin con tanto di bambino nei campi. Il Grande Fratello del terrore. Un classico della simbologia sovietica che da queste parti viene ricordata quale inquietante presenza di un tragico passato.

Uscendo dal parco, infine, non si può rimanere qualche minuto di troppo a fissare i silenziosi cervi che popolano questo immenso giardino. Nobili animali di un eleganza unica.

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Testo e foto © By RondoneR

Già su travelblog.it la prima volta a Praga, i castelli d’acciaio di Ostrava, Olomuc, perdersi per la Repubblica Ceca.

Rotte di Finlandia tra Kimito e Bengtskär

VisitFinland

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Seguite il nostro viaggio attraverso la bellezza del Grande Nord. Un’esperienza unica sull’arcipelago finlandese. Un’autentica evasione nella pace, nel silenzio e nel frizzante clima del mar Baltico.

La Finlandia è una terra che affascina, solo pronunciandola. Quando ho scoperto la proposta di VisitFinland per il blogtrip2013 estivo, sono subito saltato a bordo. E’ stato un vero onore rappresentare l’Italia e Travelblog.Outdoors in Archipelago: Kimitoph2

Fra le varie opzioni, ho scelto Outdoors in Archipelago, perché desideravo conoscere da vicino la mistica separazione dall’Europa convulsa e agitata dell’estate per perdermi fra le mille isole dell’immenso arcipelago finlandese.

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Per cominciare il tour di #VisitFinland, dopo essere atterrato ad Helsinki, ho dovuto prendere una serie di pullman per raggiungere l’isola di Kimito ad est del paese, nella regione del Varsinais-Suomi. In effetti per muoversi in Finlandia, l’ideale resta la macchina.

Sistemato nella deliziosa casa-laboratorio (ceramiche) di Ceracon, accolto dalla squisita Britt-Marie, ho cominciato a muovermi nei dintorni, in bicicletta e in barca. In mezzo ad una natura incontaminata.

Paesaggi sospesi verde-azzurro

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Il silenzio e la solitudine che ti circondano diventano subito compagni di viaggio su questi panorami perfetti, dove cielo, acqua ed alberi sembrano incorniciare l’orizzonte.

Qui a Taalintehdas (Dalsbruk in svedese) ci si può addentrare in un meraviglioso paesaggio sospeso sull’acqua. Un sentiero che attraversa la laguna grazie a lungo ponticello di legno permette di camminare realmente sullo specchio d’acqua e fitta vegetazione.

La Finlandia è verde e azzurra. Soprattutto in questa stagione. La temperatura invita a rimanere fuori tutto il giorno, fino a tarda sera, con la luce del sole che si placa solo intorno alle dieci e mezza.
Il tramonto colora i confini confusi, mentre le barche a vela nei piccoli porti fanno suonare gentilmente le proprie campane al vento leggero. Il desiderio di avventurarsi fuori, fra le mille isole cresce come la marea.

In mare

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Un semplice gozzo a remi è l’ideale appagare questo sogno. Ed è semplicemente meraviglioso uscire in mare per scegliere il proprio isolotto preferito, ovviamente disabitato, per sentirsi novelli Robinson Crusoe e darsi ad una timida pesca nella pace di una scogliera solitaria.

Ovviamente occorre pazienza e determinazione per prendere qualcosa. Ma non dispero. In paese c’è un ottimo mercato del pesce. Con salmone già marinato. La vera fatica è abbandonare la propria isola, adagiata sul mare che scintilla. Dove vorresti restare a vivere per un po’…

Le nuvole basse sembrano ricamare le ombre bianche dell’arcipelago, che invita a giocare con ogni profilo, indovinando le case sperdute sulle terre emerse, o in mezzo al bosco, nascoste in questo remoto paradiso naturale del nord.

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Gita al faro

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Per chi ama i fari, è una tappa fondamentale nell’Europa del Nord. Bengtskär nel Golfo della Finlandia, distante circa 25 km da Hanko e situata sulla punta dell’arcipelago sud-occidentale finlandese.

Del mio splendido tour in Finlandia, è una delle giornate che ricordo con più nostalgia. La gita al faro di Bengtskär, partendo da Kasnäs e passando per Rosala, è stata sicuramente una delle esperienze più gratificanti del viaggio.

Bengtskär si trova sulla piccola isola (più uno scoglio che un’isola) rocciosa omonima appartenente al comune di Dragsfjärd. Tra le più meridionali delle isole finlandesi. Per raggiungerlo ci vuole un po’ a bordo di un battello.

Il faro spunta subito all’orizzonte, ma sembra che non si arrivi mai. Anche perché occorre esperienza per navigare nell’Archipelago. Le rocce affiorano ovunque, in un panorama davvero incredibile.

Cenni storici e curiosità

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Bengtskär ha una storia relativamente “recente”, ma importante. Nel 1906 si decise di costruire un faro che fosse d’aiuto appunto alle navi nelle acque dell’arcipelago. 52 m di altezza, il faro più alto dell’intera Fennoscandia.

La costruzione è una vera impresa, riuscita grazie ad un gruppo di volenterosi abitanti della zona che utilizzano il granito dell’isola, tagliando gli enormi blocchi direttamente sul posto e vivendo lì, sullo scoglio aguzzo.

Ovviamente il faro viene “preso di mira” dalle forze nemiche. Durante la prima guerra mondiale viene bombardato dalla flotta dell’impero Germanico che vuole costringere le navi russe, che presidiavano la zona, ad un combattimento in mare aperto, mai avvenuto.

Il periodo tra le due guerre è quindi il più florido per la vita del faro, con ben cinque sono le famiglie che abitano l’isolotto, per un totale di 21 figli e perfino una maestra per l’istruzione. Luce alimentata a petrolio, portato in cima ai 252 scalini a forza di braccia. Oggi tutto è visitabile nei piani interni.

Salendo la scala a chiocciola, si raggiunge la sommità. Dove un tempo un corno di ben 7 metri di lunghezza, funzionante a vapore, produceva la luce ed un suono fragoroso udibile ad oltre 40 km di distanza. Ora sono le due lampade a riflettere il grosso fanale girevole.

Il faro è stato poi gravemente danneggiato durante la guerra di continuazione combattuta dalla Finlandia contro l’Armata Rossa dal 1941 al 1944. Ma dopo un’opera di restauro, il faro è stato aperto al pubblico nel 1996 per i 90 anni della sua esistenza.

I sovietici tentano di conquistare l’isola cannoneggiandola e accerchiandola. Ma i finlandesi resistono e le unità sovietiche si ritirano.

Poetiche leggende locali

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Ci si poteva dormire fino a poco tempo fa, ma comunque si celebrano matrimoni, ed una vera tappa turistica molto frequentata.

Il nome dell’isola prende il nome da tale Bengt, di cui si narra che sia naufragato nell’isola, e successivamente derubato e ucciso dagli abitanti dell’isola stessa. Il faro conserva un fascino oscuro assolutamente unico. Per veri poeti.

Al rientro, poi ci si gode il ritorno accogliente fra le casette stile plastico, che galleggiano quasi, sulle acque sempre più calme dell’Archipelago. Ah, c’è anche la pagina Facebook del faro. #VisitFinland non finisce di stupire.

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Testo e foto © By RondoneR

Già su travelblog.it: Kimito e Bengtskär

Olanda in fiore #tuliptour

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Amsterdam sempre a caccia di petali

Come vi avevamo promesso torniamo dall’Olanda e dal #tuliptour carichi di immagini e ricordi indelebili. Ad Amsterdam, abbiamo cominciato il nostro “safari floreale”, alla scoperta dei tanti luoghi che sbocciano letteralmente in questo periodo dell’anno.

Zoo Artis

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#Olandainfiore è cominciata a Welgelegen, all’interno di quella che una volta era la casa del custode dello Zoo Artis con una passeggiata tra i suoi fiori e con un’introduzione del Prof. Ed de Jong.

Il professore ci ha spiegato come lo sforzo, per l’occasione dei 175 anni dello zoo, sia quello di proporre centinaia di migliaia di bulbi in tutto il parco, senza che si elimini quel clima di autentica natura che lo contraddistingue. Davvero affascinanti le serre dove fiori, piante e animali esotici convivono liberamente e dove, accanto ad un iguana marmorea, abbiamo salutato una scimmia pigmea, la più piccola del mondo.

La cerchia di canali

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In battello poi, lungo la cerchia dei canali di Amsterdam, patrimonio mondiale dell’Unesco e di tutti i romantici, abbiamo seguito un percorso per conoscere le informazioni sullo sviluppo e il passaggio dei tulipani. Anche alle banchine, erano proprio loro a darci il benvenuto.

L’Orto Botanico di Amsterdam: un safari floreale tra pane e tulipani

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Tappa davvero interessante della giornata è stata infine quella all’Orto Botanico di Amsterdam (Dehortus.nl), uno dei più antichi orti botanici al mondo. Istituito nel 1638, venne trasferito nel 1682, nella sua attuale collocazione. A guidarci la gentilissima Hanneke Schreiber, responsabile del giardino e della collezione.

L’inverno rigido, è stato lungo e duro, solo ora escono allo scoperto i primi fiori, e primi tulipani. Un po’ ritardo rispetto alla media stagionale, ma proprio per questo ancora più desiderati.

La cena presso il biologico ristorante As, situato all’interno di quella che una volta era la cappella di Sint Nicolaas, ci ha permesso poi di conoscere personalmente un modo tutto olandese di assaporare un particolare tipo di fiori che conosciamo bene: i fiori di zucca.

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Keukenhof regno dei fiori

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Eccoci al Keukenhof, il parco botanico più grande e più famoso del mondo. Per chi ama la natura ed i fiori (e soprattutto i tulipani) c’è il rischio di rimanere storditi. “Sfogliate” con cautela…

Dopo Amsterdam, saltiamo qualche tappa (di cui parleremo, non vi preoccupate) del nostro #Olandainfiore, per regalarvi subito questa esplosione di fiori. Siamo al Keukenhof. Basterebbe fermarsi qui, e cominciare a guardare le foto, magari annusarle. Si può?

Nei pressi della città di Lisse, nell’Olanda Meridionale, circa 35 km a sud-ovest di Amsterdam, in mezzo ad immensi campi-tappeto di narcisi, giacinti e naturalmente tulipani, sorge questo parco incredibile.

Un po’ di storia

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Nel XV secolo ci si andava a caccia. Qui venivano raccolte le erbe aromatiche per la cucina del castello di Jacoba van Beieren, da cui il nome Keukenhof: letteralmente “orto della cucina”. L’attuale parco botanico faceva parte della vasta proprietà terriera del Castello di Teylingen.

Dopo la morte di Jacoba van Beieren, Keukenhof venne comprato da ricche famiglie di mercanti. Il barone e la baronessa Van Pallandt incaricarono gli architetti paesaggisti J.D. e L.P. Zocher (gli autori del Vondelpark, parco pubblico nel centro di Amsterdam) di progettare l’intero giardino che circonda il castello, in stile inglese. Ed ancora oggi, su quella struttura si sviluppa Keukenhof.

La tenuta è ora gestita da una fondazione. Il parco si estende su 32 ettari e comprende 15 km di sentieri. Come potete vedere, è un vero e proprio tripudio di tulipani e giacinti e narcisi in fiore, e di tante altre bulbose. Azalee e orchidee comprese, dai colori incredibili, coltivate nelle gigantesche serre.

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Mentre noi passeggiamo beati stanno fiorendo in una volta sola più di 7 milioni di bulbi. Ci sono ben 30 esposizioni floreali, 7 sorprendenti giardini d’ispirazione e 100 meravigliose opere d’arte.

L’effetto è talmente impressionante, che si rischia di rimanere quasi storditi. Una sorta di sindrome floreale. La vivacità dei colori e la reale potenza del profumo della stupefacente capacità della natura di sedurre fa perdere i sensi. La cosa più incredibile, poi, e che all’orizzonte ci sono i campi di fiori a perdita d’occhio. Insomma un sogno ad occhi aperti. Coloratissimo. Il #tuliptour.

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FloraHolland: la borsa dei fiori

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Abbiamo fatto passare un po’ di giorni, prima di riprendere il nostro viaggio tra i fiori olandesi. Eccoci dunque nell’incredibile FloraHolland. L’asta floreale di Naaldwijk, a pochi chilometri da Amsterdam. FloraHolland è una cooperativa, figlia di una grande fusione tra produttori di piante e fiori olandesi.

Immensa per estensione e copertura con oltre due milioni di metri quadri di installazioni. Al suo interno si svolgono più del 90% dei commerci olandesi di fiori con tutto il mondo. Con 6 succursali, circa 40 aste-orologio ed agenzie nazionali con più di 6000 persone tra dipendenti e collaboratori.

La Wall Street degli steli

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Per visitarla nel momento giusto, bisogna alzarsi presto ed entrare insieme ai “mercanti” delle aste. Sembra di essere a Wall-Street, giuro, ma in palio non ci sono titoli e azioni, solo migliaia e migliaia di partite di fiori.

FloraHolland lavora basandosi su domanda ed offerta. Alle sei si apre l’asta. Ogni giorno migliaia di compratori presenti nelle sale dedicate possono valutare i diversi lotti che sfilano e ricavano le informazioni necessarie da uno schermo gigante che ne descrive nome, provenienza, produttore, prezzo di partenza.

In poche ore milioni di fiori e piante entrano in decine di migliaia di transazioni (115000 al giorno), un giro d’affari di quattro milioni di euro all’anno. Quando un compratore effettua il suo acquisto, la partita di merce acquistata, viene portata, mediante servizio di trasporto interno, generalmente entro 1 ora, nello spazio che la fiera riserva ad ogni singolo compratore.

Intorno a noi infatti, il “traffico dei fiori” è impressionante. Mi chiedo come non ci siano ogni giorno, una serie di incidenti stradali con relativi cid da compilare…

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Testo e video © By RondoneR & Francesca Spanò & Press News Holland

Già su travelblog.it Amsterdam, Keukenhof, FloraHolland

Al mare in Giappone

L’inatteso mare del Giappone

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Avete mai pensato di andare al mare… in Giappone? L’arcipelago nipponico offre un incredibile ventaglio d’isole incontaminate con spiagge incredibili. Vi racconto la mia esperienza a sud di Okinawa.

Verso Sud

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Quando si pensa al Giappone, è strano, ma non viene subito in mente il mare o una spiaggia. Eppure stiamo parlando di un arcipelago fra i più ricchi di isole del mondo. Il fatto è che se non si ha il coraggio di avventurarsi a sud, in mezzo al Pacifico, si rischia di non scoprirlo.

Ne avevamo già parlato qualche tempo fa. Ma oltre ad indicare le bellissime foto del web, è giusto che io racconti una parte del mio viaggio di tre anni fa in Giappone, in cui proprio mi spinsi oltre Okinawa. Isola famosa per la guerra nippo-americana, ma piuttosto bruttina, per essere in un tale paradiso naturale.
Visualizzazione ingrandita della mappa

Fuori dal mondo tra Pace & Oceano

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Se prendete un traghetto (perché non avete troppo tempo) proprio da Okinawa, vi godrete una meravigliosa gita in mezzo alle isole (jima, come si dice in giapponese). Puntate a sud ovest, le più vicine sono Kerama, Tokashiki, Zamami e Aka. Per Kume serve più tempo. O un piccolo volo.

Il mio consiglio, anche se non è facile farlo da qui, è di prenotarvi anche un paio di notti. Io ho dormito ad Aka Jima, in una piccola camera di appartamento trasformato in b&b. Riconosco che bisogna essere molto adattabili. I giapponesi sono un popolo meraviglioso, ma non offrono alcun comfort occidentale da queste parti. A fatica due parole in inglese.

Eppure l’esperienza è stata incredibile. Pace e Oceano. Sei fuori dal mondo. Sperduto nel Pacifico, con spiagge candide si sabbia bianca ed un mare caldo che non ha nulla da invidiare a quello hawaiano (più freddo) o della Polinesia, tutto solo per te.

Comfort spartano e scenari indimenticabili

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Già perché altra peculiarità del Giappone, è che i nativi non vivono (o sfruttano) il mare come faremo noi. Non esistono praticamente stabilimenti, se non qualcuno sporadico e poco frequentato (per lo più da occidentali).

Forse molti turisti non gradiscono questa mediocre offerta di sistemazioni ed esercizi balneari (i giapponesi non sanno nemmeno cosa sia un ristorante sul mare o una doccia). Ma per i viaggiatori invece sono sicuro che proprio questo aspetto sia qualcosa di speciale. Per non parlare dei tramonti e delle nuvole. Che non ho mai dimenticato.

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Testo e foto © By RondoneR

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Torino con #lamiatorino blogtour

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#lamiatorino blog tour è stato un vero e proprio evento. 30 travel blogger tutti insieme non si vedono facilmente. Se ne sono accorti anche i “colleghi” della stampa. Su Twitter #lamiatorino era ed è ancora un flame.

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A dirla tutta io sono arrivato un po’ in ritardo. Ma ho fatto a tempo a raggiungere il gruppo al Mac***Bun, la prima ed unica agrihamburgeria slowfastfood, il progetto gustosissimo di un’azienda agricola che da tre generazioni produce carne, con una particolare attenzione al manzo di razza Piemontese, certificato dal consorzio Coalvi.

Alla scoperta della decima musa nel Museo del Cinema della Mole Antonelliana

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Al Museo del Cinema, nella meravigliosa Mole Antonelliana, ci siamo dispersi alla scoperta della storia e dei labirinti della decima musa. Un viaggio magico per viaggiatori con la fantasia in valigia.

L’ascensore che vola attraverso l’enorme volta piramidale del monumento simbolo di Torino è il vero effetto speciale del posto. Dalla cima il panorama sulla città è mozzafiato. Anche di notte.

Ritmi struggenti al Torino Jazz Festival & cicloturismo verso Stupinigi

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Si torna bruscamente a terra per ballare al ritmo frentico del Torino Jazz Festival. E quale posto migliore può esistere rispetto al Jazz Club Torino?

Ma è la mattina di domenica che probabilmente viviamo l’esperienza più indimenticabile, in tutti i sensi, del tour. Di buon’ora inforchiamo le bici, anzi le royal e-bike (biciclette elettriche a pedalata assistita) per raggiungere la splendida Palazzina di Caccia di Stupinigi. Faremo più di 30 km tra andata e ritorno, lungo le piste ciclabili attraversando luoghi famosi e meno noti con le guide ciclo-turistiche.

L’andata è incantevole (qui c’è il video di Sphimm’s Trip). Passando per il grande parco del Valentino, costeggiando il Po, in mezzo al verde e alla primavera, e poi in mezzo ai campi con il castello di Moncalieri sullo sfondo, fino ad infilare il cannocchiale unico che porta a Stupinigi.

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La visita alla Palazzina di Caccia è bella e interessante. Peccato che non ci sia stato permesso fotografare gli interni (probabilmente a causa dei furti di cui è stata vittima la palazzina). Dopo un gustoso pic-nic organizzato dalle food blogger CucinaNonnaPapera e IlGattoGhiotto, possiamo rimetterci in sella. Ma Giove Pluvio si ricorda della pioggia promessa e ci rovescia addosso una bella doccia ricordo.

Per fortuna i travel blogger hanno le spalle larghe e gli impermeabili stretti. Così si ride e si scherza anche nel fango. E il grande gruppo torna a casa, ognuno per la sua strada, con un po’ di Torino nel cuore. Grazie ancora quindi a Silvia Lanza di Turismo Torino e Marco Allegri di NonSoloTuristi.

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Testo e foto © By RondoneR

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Barcellona suggestiva tra tradizioni del carnevale e modernità architettonica

Barcelona és carnaval

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Dopo la splendida avventura di Minorca, #MyVuelingCity mi ha offerto la possibilità di volare a Barcellona, durante il Carnevale, per scoprire gli angoli meno battuti dal turismo classico.

E’ una sfida affascinante e molto divertente. Soprattutto perché il Carnaval, qui a Barcelona, mi fa scoprire un lato diverso dello spirito catalano. Forse un po’ più oscuro, legato al fascino stretto e segreto del Barrio, sicuramente magico.

Dal 7 al 13 di febbraio, Barcelona és carnaval. La capitale catalana torna ad essere lo scenario di tutta una serie di spettacoli ed eventi che (come lo scorso anno) scelgono di recuperare i modelli storici della festa, soprattutto con la partecipazione di tutti i quartieri della città. Chi vuole di più, può fare un salto anche alla vicina Sitges.

I quartieri tradizionali: el Gòtic e el Raval

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Per avventurarmi nel Barri Gòtic, nel cuore dell’antica città medievale, devo tuttavia farmi mezza vasca per La Rambla, fiume umano famoso in tutto il mondo, ma non mi dispiace affatto. Anzi, sono premiato subito, dal cortile del settecentesco palazzo Virreina, gioiello di arte barocca.

Se sulla facciata, si affacciano le grandi foto di Alberto Garcìa-Alix, per un’esposizione, dentro il cortile enormi pupazzi e gigantesche maschere, aspettano di celebrare (sfilando il 12 febbraio) la festa di Santa Eulalia, santa martire e co-patrona della città.

Infilandosi poi nei quartieri vecchi, tra el Gòtic e el Raval, si resta sempre colpiti dal contrasto di esplosioni di luci e colori con gli angusti vicoli bui e inquietanti che intrecciano il ventre di Barcellona.

El Ingenio: casa del carnevale catalano

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Dopo qualche curioso negozio, arrivo finalmente a destinazione. Era questo il posto che cercavo: “El Ingenio”, un vecchia bottega che emette una fioca luce sullo strettissimo Carrer d’en Rauric.

Un posto incredibile. Dove le gigantesche maschere del carnevale catalano trovano dimora. Ma ci sono anche costumi, accessori teatrali, per giocolieri, per illusionisti e maghi. Mono-cicli per clown, scarpe enormi, pupazzoni, pupazzetti e parrucche di ogni genere.

Per chi ha l’ansia di quello strano, tetro sentimento carnevalesco, quel misto di malinconia, finzione e follia, questo posto non è indicato. Ti avvolge il suo conturbante spirito. Vorresti comprare una maschera e nemmeno sai esattamente perché. Sei rapito dalla spersonalizzazione.

Riesco a resistere, anche perché i prezzi sono piuttosto alti, e nonostante la squisita gentilezza del personale, esco da questo piccolo mondo del travestimento che ipnotizza. Il carnevale ha un lato oscuro e affascinate, ora ne sono certo. Venezia lo sa bene.

Mi dicono che ci sono molte sfilate tradizionali (ben 34 distribuite per tutta la città). E che dopo l’arrivo del Re Carnevale, che ha già dato il via alle celebrazioni, seguirà la Taronjada, la battaglia campale di color arancio basata sul tutti contro tutti. Solo la sepoltura della sardina, metterà la parola fine alla festa.

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Metti una sera qualsiasi a Barcellona

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Mi sposto verso il mare e verso Barceloneta, scendendo per le viuzze, m’imbatto in “Papabubble”, un curioso negozietto dove la gente si accalca. Sembrerebbe una bodega antica, ma l’idea è moderna, figlia della passione di alcuni australiani per caramelle e lecca-lecca.

Mentre una ragazza scrive sul vetro della porta, dentro stanno preparando le caramelle. E il pubblico è curiosissimo. Classico esempio di “retro-sfera”. Nostalgia del passato. Hanno curato questo posto, come vedete, già dalle vetrine. Ed è molto grazioso nel Carrer Ample, che si snoda fra artigiani, strumenti musicali e bistrot alla francese.

Il cielo sopra il mio labirinto di stradine è sempre più giallo. Passeggerò per Port Vell in uno scenario da fine del mondo. Ma questo è un altro post. Per ora mi fermo qui. E mi faccio qualche tapas.

La Nuova Barcellona, monumenti avveniristici

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Come promesso, dopo il mio giro carnevalesco, eccovi una lunga passeggiata nella “nuova” Barcellona. Non posso dire che gli edifici e i luoghi che sono andato a fotografare siano meno famosi di quelli della Barcellona classica, ma certo, come mi aveva proposto la sfida di #MyVuelingCity, sono meno battuti dal turismo di massa.

Andiamo con ordine. Mi sono concentrato sulle opere e le zone più moderne. In realtà Barcellona è sempre stata campione di modernismo, ma solo negli ultimi anni, dopo le Olimpiadi del ‘92, resto del mondo sembra averlo scoperto.

Simboli contemporanei & torri

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La prima sera, sotto un cielo gonfio e giallastro, ho fatto due passi a Port Vell, su un deserto Moll del Rellotge, verso il MareMagnum, rimbalzando sulle elastiche assi curvate della grande passerella.

Mi sono quindi lanciato verso il simbolo incontrastato della “nueva Barcelona”. La luminosissima Torre Agbar. Il grande cetriolo, rigorosamente blaugrana, di Jean Nouvel. Sede dell’azienda municipale per la fornitura dell’acqua, purtroppo non permette di accedere al suo ultimo piano (immaginate una cosa del genere in Asia o in USA, sarebbe blasfemo), ma per le viste sulla città mi sono rifatto altrove.

Proprio dal Parc de Montjuic ho potuto intravedere altre due tipiche espressioni della moderna Barcellona. La Torre Telefónica di Calatrava e il sinuoso grattacielo rosso di Toyo Ito sulla Gran Via des Corts Catalanes.

Geometrie lunari

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Il posto che comunque più colpisce per il suo stile lunare e avveniristico è senz’altro El Fòrum. Siamo piuttosto distanti dal centro. Un’enorme area industriale dismessa è divenuta un polo di attrazione per congressi, manifestazioni, concerti e ovviamente skateboarders.

A fare da padrone della scena è il grande “ufo” triangolare, l’Edifici Fòrum, opera di Herzog e de Meuron, sospeso come per magia a pochi metri da terra. Una vera creatura aliena, ricca di affascinanti effetti luce specchianti interni ed esterni che permettono giochi prospettici con ogni elemento limitrofo. Cielo compreso.

Proprio accanto al triangolone scuro, spicca da poco, un alto e tagliente grattacielo bianchissimo, la nueva sede della Telefónica di Barcellona. L’incontro scontro tra scuro orizzontale e verticale chiaro è un gioco geometrico che stuzzica ogni punto d’osservazione. Dopo aver esagerato con gli scatti proseguo verso il gigantesco pannello fotovoltaico sul mare, modello e simbolo ecologico della zona.

All’ombra del grande girasole energetico, si può proseguire attraverso un ponte pedonale il nuovo Port Fòrum, piccolo porticciolo che ospita yacht di gran lusso. Ancora oltre nasce la Zona de Banys, una tranquilla area balneare, poco frequentata perfino dagli stessi barcellonesi, eccetto che per un fotografo e la sua coraggiosa modella (non faceva caldissimo…).

Per chiudere in bellezza, torno però al Port Olìmpic, a salutare lo scintillante Peix di Frank Gehry. Qui indubbiamente la folla non manca mai. Ma dopo tanti spazi e scorci sconosciuti, fa piacere anche ritrovare i “soliti profili”.

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I mirador: la capitale catalana vista dal cielo

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Non ci sono solo gli angeli di Wenders a scrutare e spiare dall’alto i passanti di Berlino. Ogni città ha i suoi punti di osservazione dal cielo. Occhi magici che volano sulla metropoli.

#MyVuelingCity mi ha regalato due ali per scoprire quelli di Barcellona. Ho provato in una giornata e mezza ad appollaiarmi su almeno 3 dei suoi migliori mirador.

La collina più famosa del capoluogo catalano è ovviamente quella di Montjuïc, con il suo castello militare disadorno, da dove si può godere una vista magnifica sulla città e sul porto. I barcellonesi vengono qui come noi romani andiamo al Gianicolo.

Il fascino di questo posto sta proprio nello scontrarsi prospetticamente contro il profilo di Barcellona. Non a caso per le Olimpiadi fu sistemato qui sotto, il trampolino per tuffi più spettacolare che si ricordi. Oggi le piscine olimpiche di quel lontano 1992 non stanno in gran forma, ma il cannocchiale resta unico al mondo.

Si può restare una mattinata, col sole alle spalle, a riconoscere le sagome e i dettagli della città. Sedendo su uno dei muretti di cinta del castello si contempla la grande distesa urbana, che corre dal mare verso le colline.

La zona portuale, verso est, dall’alto sembra una scatola ordinata del lego. I containers colorati si perdono a vista d’occhio. Sul fondo, lo smeraldo del Mediterraneo. L’Italia è da quelle parti.

La collina di Montjuïc (il cui nome deriva dal catalano medievale: Mont dels Jueus e significa “monte degli ebrei”) si può raggiungere con una cabinovia comodamente, ma è molto piacevole passeggiare (soprattutto in discesa) per tornare a Barceloneta.

Così mi incammino verso il basso, deciso a puntare esattamente all’opposto dell’orizzonte. Attraversando tutta la città. Chiedendo a chi incontro dove sia quella chiesa bianca lassù in cima che si vede praticamente da ogni punto. Verso Ovest.

La collina del Tibidabo

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Arrivo così finalmente alla collina di Tibidabo. Si tratta di un vero e proprio monticello alto 512 metri che domina Barcellona. Proprio sul cucuzzolo, c’è il Sagrat Cor, chiesa dedicata a San Giovanni Bosco, che più che ricordare il suo modello parigino, richiama alla mente il Redentore di Rio.

Grazie ad un ascensore si giunge fino alla parte superiore, posta a 575 metri sul livello del mare. Da quassù l’effetto è impressionante. Barcellona sembra minuscola. Lontana. Osservata dalle alte statue mute che si chinano sul vuoto sfidando la gravità.

Alle sue spalle il verde delle colline catalane fa pensare alle storie di Tolkien. Una roccia sinistra si staglia sull’orizzonte. Ancora un paio di metri verso l’alto e riesco a vedere il re a Madrid…

Il vento è troppo violento. Il tramonto cala sull’orizzonte, e la torre delle telecomunicazioni spicca nell’ombra della notte che si prepara a coprire tutto. Ho giusto il tempo per tornare a casa per evitare di trovarmi al buio.

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Il telefèric del port: inutile e romanticissimo

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La mattina dopo, di buon’ora, decido di fare qualcosa di meno faticoso. Mi ricordo del delizioso film “l’appartamento spagnolo” e rivedo mentalmente la scena della funivia (la telefèric del port) in mezzo alla città. Alzo gli occhi al cielo ed eccole lì, le due piccole cabine che penzolano su Cristoforo Colombo.

Onestamente è una cosa del tutto inutile. Come faceva vedere bene il film (a proposito, c’è un sito del turismo di Barcellona utilissimo per gli amanti del cinema). Tuttavia è incredibilmente romantico. Arrivederci Barcelona.

Testo e foto © By RondoneR

Già su travelblog.it: Barcellona tra Carnevale, cielo & architettura moderna

Merano & Castel Tirolo: la magia delle feste

Uno scenario da fiaba

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Non ero mai stato a Merano. E scoprirla nel periodo che precede il Natale, sotto la prima neve che quasi mi ha accompagnato per mano è stato come avventurarmi in una fiaba. L’occasione è il #xmasmerano, un blog tour originale e divertente, che consiste in un’amichevole caccia al tesoro con sei tappe per scoprire cittadina e dintorni.

Merano è veramente bella. Elegante, aristocratica, antica. Siamo stati ospitati nella storica casa di Ottmanngut, una dimora d’epoca immersa nella quiete di un giardino, dove le palme poi innevate dimostrano come il microclima di Merano permetta anche un tepore tropicale.

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l’Ottmanngut è un “Suite & Breakfast”: Spaziosa eleganza ed ospitalità familiare. Arredata con mobili di famiglia, che vanno dal tardo ‘700 al Biedermeier e allo Jugendstil. La favola comincia qui.

La cena la passiamo dentro le grandi palle di natale (’Kugln Terme’) che sembrano igloo, sul Lungo Passirio, illuminato per le feste. Addobbato perfino da noi stessi che ci scaldiamo per partire, la mattina dopo, sotto un’abbondante nevicata.

Il cuore autentico  di Merano: profumo di tradizione nella casa museo della signora Vanni

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La prima tappa è nel cuore di Merano. Nel vecchio quartiere stretto di Steinach, fra affreschi gotici e scorci severi. Proprio in via Steinach c’è la casa museo della signora Vanni. Di OmniVanni, per essere precisi. Cioè “mamma Vanni”.

Lei, Marialuisa Galeardi, che dorme nell’unica camera senza riscaldamento per tenersi in forma, è una deliziosa e vispa signora che prepara strepitosi biscotti di natale in una casa ricca di tesori di famiglia e di storia. Raccolti in una vita. Custoditi con amore.

Dalla cucina al salotto, lungo il corridoio del tempo, è tutto un fiorire di cimeli, bambole, vestiti, porcellane, macchine per la pasta, orologi a cucù, foto di Merano di un secolo fa. Il tuffo nel passato è conturbante, prezioso. La cucina poi ti avvolge fra mestoli e pentole di rame nel profumo dei frollini appena caldi.

Direzione Castel Tirolo

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Grande è la tentazione di rimanere lì, a chiacchierare con l’ospite che sforna insieme ai dolci i ricordi di un tempo, ma è tempo di inseguire la prossima tappa, la seconda stazione, che ci porta fuori città, verso il castello che da il nome all’intera regione: Castel Tirolo.

Tale è la bellezza e l’importanza del luogo, per di più visitato sotto una tormenta di neve, che ci sembra adeguato dedicargli un’attenzione speciale. Lo Schloss Tirol, il più famoso e importante castello dell’Alto Adige e probabilmente dell’intero Südtirol, dato che la famiglia gentilizia del Tirolo gli ha dato il nome.

Per raggiungere dalla città, la cima della rocca, che domina la conca di Merano, sull’imboccatura della Val Venosta e sulla Val d’Adige, abbiamo preso un bus (il 221) davanti alla fermata presso l’Hotel Palace, il biglietto (1,50 euro) si può fare a bordo. Per orari e attività c’è il sito ufficiale.

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La strada che porta al castello è chiusa al traffico. I veicoli possono essere parcheggiati nell’abitato di Tirolo (parcheggi a pagamento di fronte al minigolf o alla Cassa Raiffeisen). Si raggiunge poi il castello con una passeggiata di 20-30 minuti. Sotto la neve, fermandosi a fare milioni di foto, magari un po’ di più.

Il maniero fu edificato a partire dal 1138, presumibilmente su strutture precedenti. La posizione è molto strategica. La rocca principesca è chiamata dai tirolesi “das Herz des Landes” (”il cuore del Paese”). I conti di Tirolo, dopo lunghe e sanguinose lotte, diventarono il casato più importante di tutta la regione.

Il complesso del castello comprende a nord il possente mastio difensivo, affiancato da ciò che rimane dell’edificio residenziale, e a sud il palazzo di rappresentanza a due piani. A est c’è la cappella gentilizia, anch’essa a due piani, tipica architettura concessa solo ai signori territoriali d’Impero; ancora più a est c’è infine il palazzo residenziale.

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Pur senza essere espugnato il castello subisce molti attacchi. Difeso ad oltranza dall’arciduchessa Margherita che abdica nel 1363 segnando la fine del periodo aureo di Castel Tirolo. I conti tirolesi frequentano altre abitazioni e alla fine del secolo XVI siamo in piena decadenza. Nel castello rimangono solo un castellano, un cappellano e un cacciatore.

Nella prima metà del 1600, l’angolo nord-est, viene abbattuto per evitare un franamento più grave e viene dimezzata la torre. La parte inferiore della torre è tutt’ora originaria, mentre la sua sopraelevazione è dovuta ad un restauro del 1904. Devo dire che sono stati molto bravi nella ricostruzione, anche se forse la chiusura ermetica totale sul tetto della torre è un po’ limitante per la vista.

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Diversi comunque sono stati i restauri (dal 1887 al 1898 fino al 1912). Il castello, dopo i diversi passaggi tra Germania, Austria e Italia è oggi proprietà della Provincia Autonoma di Bolzano, che lo ha completamente ristrutturato con l’aggiunta di un museo storico ed archeologico.

Nel tempio ubicato nella torre ci sono reperti rinvenuti nell’arco alpino e che mostrano tracce umane risalenti al VII secolo a.C. Lungo il percorso che si snoda dal Palazzo orientale fino alla Sala degli Imperatori ci sono invece gli elementi dell’epoca medioevale.

La stessa storia della costruzione del castello viene descritta descritta dettagliatamente, grazie all’ausilio di una simulazione al computer, che sovrappone le diverse fasi di costruzione. Il mastio è infine dedicato alla storia del XX secolo della regione dal 1898 al 1992. Originale e curiosa per la neutralità con cui raccoglie cimeli e ricordi di ogni epoca.

Alla base del castello in questo periodo si possono visitare i mercatini che stiamo per presentarvi, e si può godere di un tiepido ristoro con la banda in costume (c’è anche una sfilata tradizionale al mattino) e delle simpaticissime pecore molto socievoli.

Il mercatino di Natale del Castello:  goloso e suggestivo

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Non potevamo dimenticare il piccolo mercatino di natale ospitato al suo interno, dove incontriamo Julia Ellenmunter, che ci spiega come produce personalmente le sue gentili e curiose ceramiche.

Comincia il nostro shopping di regali, che diventerà febbrile in luoghi come questi. In mezzo a prodotti artigianali, originali e regionali. Quando torniamo a Merano infatti, la terza e la quarta stazione si trovano proprio in mezzo ai mercatini di Natale, famosi in tutto il mondo.

Le casette sono state rinnovate. Hanno un design particolare, che ricalca il profilo delle montagne circondanti. L’azienda Rubner le ha costruite pensando ad un progetto di eco-sostenibilità.

Bè, vi posso garantire che il sottoscritto, non proprio un’appassionato dei mercatini nostrani, ha fatto almeno 4 volte il giro di questi piccoli scrigni di primizie, leccornie, giocattoli e doni di ogni tipo.

Dai formaggi al vin brulé, dalla polenta allo speck, dalle grappe ai dolci e al pane di ogni tipo, sei avvolto da profumi che catturano più delle sirene d’Ulisse, tutte locali come sottolinea il giovane Christian Maier, gastronomo altoatesino. In mezzo a cornici fatate di luci e grondanti di decorazioni e giochi in legno che ti fanno tornare bambino subito. E magari non tornare più adulto, finto responsabile.

Arrivederci al presepe vivente

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Mi perdo sotto i portici di Merano fra le luci ovattate di questo presepe vivente imbiancato e rigoglioso. Penso che questo è un Natale speciale, nonostante tutto. Forse perché questa terra in epoca romana era detta Maia. Che buffo.

A furia di distrarmi però mi perdo la penultima stazione, quella di Scena, dove c’è un altro castello, nobile e pieno di fascino perché ancora vissuto. Peccato, ma è una buona scusa per tornare…

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Mi consolo con l’ultima tappa. Un meraviglioso regalo dentro la casetta a forma di albero di Natale di Alessi, che ci dona le strepitose palle in vetro soffiato per un presepe dal design originale e geniale. Un regalo inaspettato e apprezzatissimo. Trovato non sotto, ma dentro l’Albero. Più Natale di così..!

La mattina seguente sono costretto a salutare Merano in mattinata, con un sole che abbraccia e bacia. Faccio a tempo a vedere la sfilata in costume che sale vero il Duomo. Bello e senza fronzoli. Saluto ed esco dalla fiaba con tanta nostalgia.

Grazie a Merano, grazie ai suoi squisiti organizzatori di tanto divertimento. Ci ritroveremo sui vari siti, i blog, le pagine Facebook o i profili Twitter che elenco in parte qui sotto. Ma sarà sempre meglio dal vivo. Buon Natale a tutti!

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Info utili:

meranerland
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#xmasmerano

Testo e foto © By RondoneR

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