Stasera, giovedì 12 marzo 2020, nuove misure drastiche sono state annunciate dal président de la République. Tutte le scuole francesi saranno chiuse a partire da lunedì 16 marzo e fino a nuovo ordine. La Francia segue lo ‘scenario italiano’.
Cosa penso fra le righe e prima di sottoporvi ad una lunga lettura.
Egoisticamente sono sollevata all’idea di aver ritrovato una certa fiamma narrativa che mi si riaccende puntualmente con i picchi d’adrenalina. In quanto mamma residente a Parigi sono preoccupata e non solo per il virus. Come professionista impegnata nella scrittura da più di un decennio sono angustiata dai teatrini di facebook. Dalle necessità di allarme, dalle critiche sterili e dal continuo bisogno di contrapposizione.
La cosa che mi fa più paura è l’ignoranza, il bisogno di commentare a tutti i costi, la necessità di costruirsi una credibilità effimera.
Per il resto son qui a casa in attesa, con una bella pancia e tante cose che girano per la testa.
Organizziamo il domani con lucidità.
Il modello francese
La Francia non è un paese dominato dal pathos, ma la patria del protocollo.
Si tratta di un assunto improrogabile per tentare di comprendere la gestione dell’emergenza sanitaria legata al Covid-19. In Francia le grandi crisi sono all’ordine del giorno e la maniera di affrontarle diverge diametralmente da quella adottata in Italia. Si tratta a mio modesto parere di due modelli opposti, che affondano le proprie radici in società sviluppatesi diversamente, nonostante la loro vicinanza geografica.
Estrapolando una tendenza generale (non scevra da semplificazioni) si potrebbe concludere che la Francia è statistica, la Francia è collettiva e tale è la gestione che la domina, ad ogni livello organizzativo. Sollevare la responsabilità del singolo, inglobandola in un più ampio movimento e in una serie di procedure elaborate e testate in anticipo, consente una certa capacità predittiva capace di rassicurare le masse e di guidare l’individuo, soprattutto in tempi di incertezza.
La governance fattuale
Non c’è da stupirsi che le ultime settimane siano state vissute e percepite in maniera completamente diversa oltre frontiera. Il governo francese e i francesi stessi sono stati accusati di essere superficiali, opportunisti, incoscienti, egoisti. Un insieme di critiche che non sono estranee a certi topos del consueto french bashing. Eppure difficile immaginare un approccio diverso in terra francese, a maggior ragion in tempi di campagna elettorale (il primo turno delle elezioni municipali è previsto per il 15 marzo, il secondo per il 22). A ben guardare non si tratta che dell’ennesimo esempio di governance fattuale o di pragmatismo gallico, che dir si voglia.
Quella che si attua in Francia è una visione sistemica che ci è estranea? Possibile.
Che ci appaia cinica e disumana? Altamente probabile.
Stimare per ottimizzare
Non è un caso se il metodo del triage médical sia particolarmente diffuso in Francia.
La valutazione del rischio mira a ottimizzare le risorse disponibili per non non mettere in ginocchio i pronti soccorsi degli ospedali. Sequestrare tutta la produzione di mascherine per gestirne la distribuzione ai soli professionisti della salute (o a persone che abbiano un’esigenza comprovata su presentazione di ricetta medica) è il risultato di un atteggiamento pragmatico. Contenere per decreto i costi del gel disinfettante e autorizzare le singole farmacie a produrlo e a commercializzarlo, uno strumento di prevenzione delle speculazioni.
Più difficile la scelta di limitare il numero di tamponi alle sole persone presentanti gravi sintomi, fermo restando il ruolo strategico occupato da tali persone e il principio di continuità statale (dopo aver constatato la positività al virus del ministro della cultura francese Franck Riester, tutti i ministri a rischio e lo stesso presidente sono stati testati, pur non presentando necessariamente sintomi).
Il tentativo di contenere l’indice della paura
Non si può ovviamente affermare che la cosa sia pacifica, che non ci siano state voci dissidenti, ma domina un certo fatalismo che è frutto di un lungo processo di apprentissage.
Il mantenimento delle attività produttive aiuta a prevenire penurie e problemi logistici, in un paese che conta ancora numerosi territori esterni alla Francia metropolitana, tale atteggiamento è più che comprensibile. Tenere le scuole aperte finché possibile minimizza le differenze sociali e permette agli operatori sanitari, ai pompieri a agli specialisti del primo soccorso di assicurare la propria missione di servizio.
I primi casi attestati di coronavirus in Francia (e in Europa) risalgono alla fine del mese di gennaio, e da allora numerosi provvedimenti restrittivi, adattati caso per caso, sono stati presi. L’isolamento dei pazienti provenienti da zone a rischio, l’individuazione di cluster e la limitazione degli spostamenti in tali zone, il continuo battage per incentivare la diffusione dei gesti-barriera sono all’ordine del giorno e il telelavoro è già stato messo in atto in numerose aziende. I residenti delle case di riposo sono isolati e le visite esterne, sospese.
Nonostante ciò le risposte francesi non sono state sufficienti a contenere l’indice della paura e il fattore tempo rischia di giocare contro la strategia di Macron. Senza dimenticare che la sospensione degli accordi di Schengen e l’installazione delle frontiere interne all’Europa, per quanto ormai necessaria, potrebbe danneggiare pesantemente l’economia.
Preoccupazione numero 1: evitare il panico!
La Francia non è stata a guardare. Ha osservato in silenzio, si è preparata prendendo esempio dai grandi focolai esteri (la Cina in primis, poi l’Iran e l’Italia stessa) e ha reagito a suo modo pendendo atto dell’ennesima crisi, che ha seguito quella dei gilets jaunes e si è quasi intersecata con uno degli scioperi nazionali più importanti dell’ultimo quarto di secolo.
E allora cosa ci si sarebbe dovuti aspettare da una struttura governativa così sollecitata?
Di certo non una reazione emozionale, tanto aliena al modo di pensare francese, quanto potenzialmente incomprensibile ai più. Che le critiche estere sarebbero arrivate presto era fuori di dubbio, ma non si può ignorare che l’eterogeneità della compagine nazionale francese è coerente con tale modo di affrontare le cose.
L’approccio pragmatico e le tematiche generazionali
Mio padre ricorda i tempi del colera a Napoli negli anni ‘70. Io quelli che hanno seguito gli attentati terroristici che hanno insanguinato la Francia dal 2012 al 2019.
Mi sono scontrata più volte e in prima persona con un modo di concepire l’esistenza completamente estraneo a quello italiano e dopo grandi crisi di nervosismo sono arrivata ad una conclusione più istruttiva. Immergersi in ogni sorta di procedura e avere a che fare quotidianamente con la temutissima macchina burocratica francese aiuta a comprendere, almeno in parte e per quanto possibile, tali atteggiamenti. Reazioni che sono il frutto di una certa mancanza di elasticità e dello spirito di previsione collettivo messo in atto proprio per sopperire alla mancanza di slancio del singolo.
L’Italia è un paese di eroi, capace di mobilitare il meglio delle sue risorse per far fronte all’emergenza. L’Italia è una terra di frontiera, una nazione sopravvissuta a mille crisi di ordine geopolitico che ha affrontato innumerevoli catastrofi naturali. L’italia è un paese di memoria e d’esperienza, che può contare sulle generazioni precedenti e appoggiarsi su un grande bagaglio per la gestione dell’estremo (che si rivela utile in situazioni come quella odierna).
La Francia è paradossalmente (e non per ragioni storiche in questo caso) un paese molto più giovane. In cui la classe dirigenziale è dominata da trentenni e quarantenni che non posseggono le stesse solide basi e che sono rigidamente inquadrati proprio per prevenire i derapage.
Cosa succederà in Italia una volta passata anche questa bufera?
Le famiglie italiane, già provate da decenni di sacrifici, si troveranno a dover raccogliere i cocci di una nuova recessione. Le giovani coppie porteranno sulle spalle il peso di una difficoltà crescente, in un contesto non certo favorevole. Ma l’Italia ce la farà, come ce l’ha sempre fatta. Con creatività, affezione, determinazione e spirito d’iniziativa. Insomma quel quid in più che garantisce agli italiani una grande riserva di risorse.
Le folgori degli italiani a Parigi
Inutile sottolineare che la frequentazione di certi gruppi facebook di italiani all’estero, oltre a risultare deleteria per la salute mentale, si rivela un’ottima cartina al tornasole delle inquietudini striscianti dei nostri connazionali, gli stessi che non hanno esitato a gridare ‘Je suis Charlie’ dopo gli attentati del gennaio 2015.
Persone naturalmente preoccupate dalle costanti notizie provenienti dai media e (più spesso) dai social italiani.
Numerosi i post che tacciano di immobilismo incosciente il governo francese.
Innumerevoli le teorie complottistiche riportate.
Lunghissimi i flame alimentati (solo in misura inferiore) dai troll, per la maggior parte da chi nutre sincera inquietudine e anche da polemici malati di protagonismo. Molto spesso chi scrive semplicemente non ha ancora preso atto del contesto sociale francese e integrato la differenza.
In ogni caso la scuola italiana di Parigi è stata chiusa per decisione consolare, numerosi sono gli appelli dei professionisti italiani operanti nel settore della ricerca, ai quali si è aggiunta la voce allarmante dei corrispondenti delle testate francesi residenti in Italia.
Attraversata da immani fratture sociali, la Francia non è certo un paese sereno. Tende ad isolarsi e a perseguire in un modo di percepire e gestire le cose che dall’esterno può essere considerato come alieno e presuntuoso. Eppure si tratta di un fare estremamente intrinseco.
Chiudere citando Brecht ‘felice il paese che non ha bisogno di eroi’ sarebbe troppo scontato, eppure riflette una certa angoscia da italiana all’estero che non riesco a reprimere.
Che sia un retaggio italico…
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